CRITICA di Manuela Bartolotti
Non sono semplici montagne quelle dipinte da Maria Grazia Passini. Si crede di salire sul tetto del mondo, invece si scende nelle profonditaÌ� dello spirito. Quelle creste innevate, quelle cuspidi affilate sono rilievi di una cartografia interiore, mentre i colori del cielo, i riflessi che inondano le pareti rocciose sono un corpo vibrante emozioni. Le vette sono vive e parlano a noi e di noi, di ferite drammatiche e resurrezioni inevitabili. Il piede puoÌ� cadere in fallo, ma la mano, quella stessa che si congiunge in preghiera, afferra cieli e speranze, invisibili salvezze per chi sa alzare la testa e spingersi in salita, nonostante tutto. La pittura della Passini è sorta tardi e dopo un evento traumatico, come capita a tutte le vocazioni a lungo celate, ma destinate prima o poi a manifestarsi vulcanicamente. Più restano soffocate, piuÌ� erompono con forza. Questo spiega la vertigine e il senso di un sussulto interiore che si prova davanti alle sue tele, lo stupore davanti alla spessa matericità tridimensionale seppur talvolta resa con un’essenzialità estrema di tratti e di tinte. Stesso discorso vale per le sculture, in creta simil bronzo e ora anche in bronzo autentico. Il busto di Verdi è percorso dal fremito della musica, dalla furia creativa, mentre quello dedicato a Kurt Diemberger racconta sulla pelle rugosa avventure di ghiaccio e d’alta quota, occhi resi trasparenti dalla memoria dell’infinito.
Poi ci sono ali e mani, non più quelle protese nello sforzo fisico dell’arrampicata, ma giunte e protese nella tensione spirituale della preghiera. Quando una mano è sola, l’altra è quella di Dio. Ora lei, con quelle mani di scalatrice suona il violino, dipinge, plasma. Ogni suo atto è ricerca e ringraziamento. In ogni opera continua a salire verso il cielo e a far battere il suo, il nostro cuore, all’unisono con quello delle montagne e dell’universo. Si dice che l’arte sia medium di qualcosa, di qualcuno lassù, e che l’artista sia solo interprete e tramite del divino. Nell’opera della Passini questo ha un’evidenza sconcertante, paragonabile alla forza espressiva, comunicativa dei più grandi artisti. Perchè è arte vera. Non descrive soltanto, ma incide, non parla ma canta. Ci fa percepire l’anima dell’uomo e del mondo. E il mistero, come il vento che spira sulle cime. Non arriveremo forse mai alla fine, alla soluzione. Pensiamo allo spirito romantico del tedesco Caspar Friedrich. Lei va oltre. In una vastità e solitudine che sgomenta. Ma piena d’amore.
Così, la paura provocata dall’imponenza della natura si risolve in contemplazione e in un abbraccio infinito. Quella terra roccia scoscesa, aspra, a volte ostile, è anche la mano aperta del Creatore, la culla per il corpo, per il cuore. Per vedere bisogna credere, salire. Per vedere bisogna aprire altri occhi oltre a quelli fisici. Abbandonarsi infine. Lassù si respira l’estremità della vita. La verità.
Ecco dove conduce Maria Grazia Passini. In alto. In fondo. Come l’acuto incanto del violino.
Alla fine è questo il miracolo dell’arte: portarci via. Oltre. Questa è la scalata più alta, il più alto volo. Fino a Dio.
Manuela Bartolotti